Massimo Benucci imprime di sé quel che dipinge. Interno verso esterno: l'affronto diretto con la realtà avviene nello spazio sottile che separa autore e superficie, dove la coscienza si scontra con la materia viva del presente. Uno scontro sanguigno, drammatico, violento, esorcizzato sul piano dell'azione. L'esito della partita è sotto i nostri occhi; serve presenza per sostenere l'incontro con questi spettri di comunicazione che reiterano invariato il loro messaggio, nitido e tagliente, quanto è labile il contorno di immagine che li dipinge.
Massimo è dentro fino al collo al problema della realtà, sente sulla pelle il peso di chi è nella società in una posizione diversa, di alienazione, di diversità, di rifiuto, di chi rompe le fila del conformismo e paga per questo un dazio, come un cristo martire...ma vittorioso. Se questi sono i protagonisti, i suoi lavori sono imprecazioni rivolte all'ipocrisia del pensiero comune ed il messaggio si ferma all'evidenza di una tragica condizione umana, sempre diversa...sempre la stessa.
Bisogna far giustizia di ogni intellettualismo, sembra urlare Massimo, ritrovare la rudezza e l'impaccio, ma anche la profonda spiritualità del fare su materie naturali e grezze, finché dal loro spessore non emana un barlume, una verità, che diventa flebile ma pura luce. Per accenderla serve il peso fisico di supporti consumati, di colori scivolati ed è necessaria quella miserabilità dell'immagine da cui si libera il ritmo di una trascendenza che non smette di battere. In questo senso, nei lavori di Massimo la tecnica è la metafora della poetica.
L'arte di questa Mostra materializza una condizione di cosciente ma irrimediabile negatività dell'esistenza moderna, eppure gli spettri non smettono di parlare, è un sottile piacere ascoltarli...come ci ha insegnato G.C.Argan, “se la sublimazione può darsi solo bevendo fino alla feccia il calice della disperazione, l'invettiva è preghiera”.
Massimo è dentro fino al collo al problema della realtà, sente sulla pelle il peso di chi è nella società in una posizione diversa, di alienazione, di diversità, di rifiuto, di chi rompe le fila del conformismo e paga per questo un dazio, come un cristo martire...ma vittorioso. Se questi sono i protagonisti, i suoi lavori sono imprecazioni rivolte all'ipocrisia del pensiero comune ed il messaggio si ferma all'evidenza di una tragica condizione umana, sempre diversa...sempre la stessa.
Bisogna far giustizia di ogni intellettualismo, sembra urlare Massimo, ritrovare la rudezza e l'impaccio, ma anche la profonda spiritualità del fare su materie naturali e grezze, finché dal loro spessore non emana un barlume, una verità, che diventa flebile ma pura luce. Per accenderla serve il peso fisico di supporti consumati, di colori scivolati ed è necessaria quella miserabilità dell'immagine da cui si libera il ritmo di una trascendenza che non smette di battere. In questo senso, nei lavori di Massimo la tecnica è la metafora della poetica.
L'arte di questa Mostra materializza una condizione di cosciente ma irrimediabile negatività dell'esistenza moderna, eppure gli spettri non smettono di parlare, è un sottile piacere ascoltarli...come ci ha insegnato G.C.Argan, “se la sublimazione può darsi solo bevendo fino alla feccia il calice della disperazione, l'invettiva è preghiera”.