21 febbraio 2011


Massimo Benucci imprime di sé quel che dipinge. Interno verso esterno: l'affronto diretto con la realtà avviene nello spazio sottile che separa autore e superficie, dove la coscienza si scontra con la materia viva del presente. Uno scontro sanguigno, drammatico, violento, esorcizzato sul piano dell'azione. L'esito della partita è sotto i nostri occhi; serve presenza per sostenere l'incontro con questi spettri di comunicazione che reiterano invariato il loro messaggio, nitido e tagliente, quanto è labile il contorno di immagine che li dipinge.
Massimo è dentro fino al collo al problema della realtà, sente sulla pelle il peso di chi è nella società in una posizione diversa, di alienazione, di diversità, di rifiuto, di chi rompe le fila del conformismo e paga per questo un dazio, come un cristo martire...ma vittorioso. Se questi sono i protagonisti, i suoi lavori sono imprecazioni rivolte all'ipocrisia del pensiero comune ed il messaggio si ferma all'evidenza di una tragica condizione umana, sempre diversa...sempre la stessa.
Bisogna far giustizia di ogni intellettualismo, sembra urlare Massimo, ritrovare la rudezza e l'impaccio, ma anche la profonda spiritualità del fare su materie naturali e grezze, finché dal loro spessore non emana un barlume, una verità, che diventa flebile ma pura luce. Per accenderla serve il peso fisico di supporti consumati, di colori scivolati ed è necessaria quella miserabilità dell'immagine da cui si libera il ritmo di una trascendenza che non smette di battere. In questo senso, nei lavori di Massimo la tecnica è la metafora della poetica.
L'arte di questa Mostra materializza una condizione di cosciente ma irrimediabile negatività dell'esistenza moderna, eppure gli spettri non smettono di parlare, è un sottile piacere ascoltarli...come ci ha insegnato G.C.Argan, “se la sublimazione può darsi solo bevendo fino alla feccia il calice della disperazione, l'invettiva è preghiera”.

07 febbraio 2011






L'autore del reportage fotografico qui proposto è testimone oculare di una verità, verità parziale...degli occhi, dei fatti, quella che si vede stando a terra, dove quei dati accadono e sono inevitabilmente uguali a loro stessi. Dura verità. Le immagini di Marco sono registri di sguardi comuni sul mondo, la cronaca di un tempo malato, corrotto, problematico...lì, alle soglie dell'implosione. Una verità. Constatarla significa dare voce ai segni che gridano sui muri urbani, che scivolano tra i rami degli alberi, alle tracce di passagi umani disperati. Ecco la Bulgaria oggi, come la si vede, uno studio di sette immagini ci riporta al concreto sociale, politico, economico, umano, al qui ed ora, a noi, perché non denotano uno specifico paese, quanto uno status comune ad una fetta ampia di tessuto urbano e umano...globale. Il dreamer John non era the only one, oggi forse lo sarebbe di più, oppure il suo sguardo partiva da più in alto: John non guardava, i-m-m-a-g-i-n-a-v-a. “who are you”, intitola una delle foto esposte, un giovane uomo è alle soglie di un bivio, la vecchia e larga strada battuta, o cosa? chi sei tu?: i nuovi pensieri, il modo rinnovato di pensare noi stessi e il mondo, restano la sola possibilità di trasformazione, che è già lì, nella strada che si dirama, scegli ragazzo.