14 agosto 2010

Angelo Petrucci, del corpo come forma simbolica

Il corpo e il mondo che lo ospita, le cose e il corpo che le contiene, dipinti; raro oggi non riconoscere, pur tra le pieghe di uno studio d'autore, le impronta troppo forti di percorsi novecenteschi già tracciati e spesso risolti. C'era un tempo nel quale il corpo dipinto restituiva al suo creatore la misura di un rapporto tra il sé, l'altro da sé e la storia di un'arte tutta in divenire. Oggi, la figura ri-creata sembra impotente a rappresentare altro rispetto all'annoiato e decaduto epigono di racconti finiti, o a mutuare forme proprie a linguaggi propri di arti visive contemporanee. Da questo punto di vista, Angelo Petrucci è un unicum, un punto esclamativo lanciato nello stagno dell'apatia nella quale pare immersa l'arte figurativa dipinta. I suoi lavori costituiscono illuminanti chiavi di lettura contemporanee di un soggetto universale nell'arte, perché connaturato all'esistenza, affrontato con una tecnica altrettanto trasversale alla storia. Proviamo a comprenderne le ragioni.
Intanto iniziamo col precisare che Petrucci dipinge, con olio su tela. La evidente formazione accademica si materializza in una misurata consapevolezza del fare, sin dai primi lavori pubblicati, della metà degli anni settanta; i riferimenti culturali assumono il peso di basi in commistione tra loro sopra le quali appoggiare le proprie visioni, non sono mai schemi interpretativi preconfezionati. Il segno è materico, la materia è disegnata...e forma e contenuto raggiungono a partire dagli esordi degli anni ottanta un equilibrio compiuto. E' allora che la ricerca di Petrucci inizia a sostanziarsi di elementi che permangono sino ad oggi, seppure in evoluzione.
Il corpo?: è fatto della stessa materia vitale di cui si compone l'universo. Come parte del tutto, è frammento senza volto, senza nome, sottratto all'identità e al tempo che lo hanno prodotto. Il corpo è parte dell'enigma irrisolto che sottende al mistero della vita e che coinvolge parimenti lo spazio che lo compenetra. "Madre Terra" potrebbe essere il nome destinato ad una di queste essenze impersonali sostanziate del colore della terra stessa. Res e humana sono dunque presenze imprescindibili nelle opere dell'autore, ma in questa riproposizione di molecole di universalità, nulla è concesso al caos disorganizzato: tutto, come in un rebus pronto ad auto-risolversi, ha una precisa ragione di essere in quel luogo, di quel tempo sospeso. Dunque da niente si può prescindere, lo "sfondo" spesso incombe in primo piano, condiziona l'essenza del corpo, pure l'ombra su di esso si fa densa consistenza.
Il complesso tema di forze è leggibile in virtù del delicato equilibrio visuale fra dimensioni, distanze, direzioni, curvature, volumi. Ciascun elemento possiede una forma appropriata in relazione a tutte le altre, fissando così un ordine definitivo nel quale tutte le forze componenti si contengono a vicenda, nessuna di esse può imporre alcun mutamento nell'interrelazione. Il gioco di forze si trova in quiete apparente. Ma il corpo rimane l'elemento propulsivo, vitale, che rompe la permanenza, che è motore di cambiamento; in questo senso, è la chiave di volta di queste composizioni.
Il corpo di Petrucci è sintetizzato, generato dall'espressività gestuale ed emozionale di se stesso. E' tridimensione dipinta, vitale sensualità potenziata dalla memoria, che sublima il reale, lo rende simbolico. Il corpo, dunque, come forma simbolica, richiede una conoscenza che implica volontario avvicinamento, ricerca perseguita, lenta penetrazione: è quella praticata dall'autore, è quella reiterata ad ogni rinnovato sguardo dello spettatore. Arrivati alla scoperta ci si accorge che quel corpo è parte di un tutto, arrivati al particolare, la visione è dunque la stessa del punto di partenza. A cambiare è l'esperienza. Comprendere l'opera, coglierla come totalità, è funzione di una rivelazione, l'immediatezza sospende la dimensione temporale, la visione logica dovrebbe restituirci il motivo di tale rivelazione.
L'avvicinamento alla conoscenza necessita di un medium, di un linguaggio interpretativo. Ecco quindi la presenza costante di grate, elementi geometrici, che spesso incombono sin dalla metà degli anni ottanta, dinnanzi alle presenze umane; costrizioni percettive, ma anche veicoli di comprensione, tentativi di porre una logica alla realtà, caotica e mutevole. L'uomo ha bisogno di regolarità, la impone alla propria visione perché è funzionale, dal punto di vista conoscitivo. Questa rigidità dietro la quale si cela il dis-ordine, ci pone dinnanzi ad un interrogativo che per ora sembra rimanere irrisolto, ovvero di quale sia il rapporto tra le due tendenze cosmiche, quella volta al disordine meccanico e quella volta all'ordine geometrico. Talvolta, colate di sangue informale spezzano le griglie, è la vita che incombe, supera le costrizioni che la ragione prova ad imporsi. Ma Petrucci riesce sempre con maestria suprema ad imporre all'organizzazione della visione il proprio schema strutturale; allo spettatore è restituito un punto di vista, l' osservazione è accompagnata.

Guardando all'intera produzione di Petrucci sin qui svolta, colpisce la coerenza della ricerca nelle direzioni sopra dette, anzi i processi paiono chiarirsi e raffinarsi nel tempo. Accanto ad un procedere dalla semplicità alla complessità dello studio, si ha un procedere dalla confusione verso l'ordine nella consapevolezza dell'indagine. Con il tempo, lo sviluppo, la metamorfosi, presenta un moltiplicarsi di parti dissimili, ma anche un accrescimento della precisione con la quale tali parti sono contraddistinte l'una rispetto all'altra; e ciò è più che evidente se confrontiamo la recente produzione, dal 2008 ad oggi, con quella che la ha preceduta.

I dipinti di Petrucci sono raffigurazioni di enigmi da decifrare, restituiscono la presa di coscienza di una visione d'insieme del realtà, che presuppone il dettaglio, nel contesto metamorfico del presente; ci svelano la cocente contemporaneità di un osservatore che ha colto l'unità di misura entropica del mondo ed insieme la sua imperscrutabile soluzione. Nell'incontro, nell'opera intitolata "Figure" (olio su tela, 2008) forse, la parziale soluzione: lì la grata interpretativa scivola in secondo piano.
Nella fusione con l'altro sopiscono le tensioni interpretative, assecondare placidamente il ciclo naturale rimane per ora l'unica soluzione.

e.g./ luglio 2010